L'angolo dello scrittore

Prerequisiti della ripresa scientifica e tecnologica

Intervento del Professor Roberto Vacca al Convegno SIPS: “Gli Scienziati Italiani per l’Unità e per lo Sviluppo dell’Italia”, Roma, 29 Marzo 2011

I progressi scientifici, tecnologici, organizzativi, straordinari negli ultimi secoli, continuano ad accelerare. Però l’epoca attuale non è un’età della scienza. Quasi ovunque la maggioranza della popolazione ha idee vaghe sugli strumenti teorici e pratici con cui la realtà si interpreta e si modifica. Le comunicazioni di massa danno l’illusione di un sapere diffuso, ma, rispetto ai picchi di conoscenza della minoranza avanzata, i più sono nell’ignoranza. Manca un’opinione pubblica informata che eserciti un controllo sociale della tecnologia. La paura di rischi immaginari e non di quelli reali, ispira decisioni sbagliate. La situazione culturale di oggi è migliore che in passato, ma, specie nel nostro paese, potrebbe esserlo molto di più. Per innalzarla non ci sono ricette semplici: la cultura tradizionale va integrata con la tecnologia dell’informazione e della comunicazione.

La situazione attuale italiana in scienza e tecnologia, a parte notevoli, ma rari picchi di eccellenza, è molto critica. Gli interventi per mirare e realizzare una ripresa dovrebbero essere al primo posto nei dibattiti su riforme e piani nazionali – ma non lo sono.

La Commissione Europea ha pubblicato (Febbraio 2011) la classifica dei 27 paesi dell’Unione in base al livello di innovazione raggiunto. Questo è espresso da un indice (compreso fra 0 e 1), che è funzione di 24 indicatori (lauree, ricerca scientifica, investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, brevetti, percentuale di piccole e medie imprese innovative, etc.). La situazione è rappresentata dall’istogramma seguente. In verde: 4 leader (Svezia, Danimarca, Finlandia, Germania) – in celeste,: 10 innovatori di seconda classe, in giallo 9 innovatori moderati e in arancione; 4 innovatori modesti.

Fonte: Innovation Union Scoreboard 2010, www.proinno-europe.eu/metrics

La Svezia sta a 0,75. La media dei 27 Paesi sta a 0,5. L’Italia sta fra gli innovatori moderati a 0,42  – il 16°  posto su 27  – dopo Portogallo, Estonia, Slovenia, Cipro – tutti sotto la media.

Il quadro sinottico in appendice mostra che in Italia gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,58 % del PIL (0,77 della media europea) e quelli privati sono lo 0,65 % del PIL (0,52 della media europea). Questo divario dura da 30 anni. Non è solo questione di investimenti, ma di cultura media. La percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è in Italia il 19%. La media europea è 32,3 %, Francia 43,3 %, Irlanda 49 %. A livello più basso dell’Italia sono solo 5 paesi: Macedonia, Repubblica Ceka, Romania, Slovacchia e Turchia.Il pubblico italiano non vede il problema.

Gli italiani in media si interessano meno agli studi e alle professioni tecniche. Nel 2004 il numero degli iscritti ai licei superò quello degli iscritti agli istituti tecnici. Nel 2008 i primi erano il 43% e i secondi il 29% dei giovani che continuavano gli studi [istituti professionali 28%]

Già mezzo secolo fa – e anche oggi – non solo manager e funzionari ad alto livello, ma anche il pubblico in generale e i mezzi di comunicazione di massa tendono a ignorare nozioni, concetti e strumenti scientifici e tecnici. Si alimentano di una cultura discorsiva e danno credito a pensatori modesti. La cultura era, ed è, spesso identificata con spettacoli più musei. Si ripete che siamo entrati nell’era dell’informazione e si tenta di misurare il successo valutando la penetrazione nel mercato di computer personali, telefoni cellulari e apparecchi per sentire musica registrata e scambiare sms. Gli intellettuali parlano per sentito dire della conoscenza del mondo fisico e di matematica. Aumenta il divario fra alta tecnologia e cultura media. Si diffondono macchine di facile uso, che eseguono processi non trasparenti, e i supercomputer si usano per scopi banali. Gli utenti non acquisiscono concetti, non usano linguaggi avanzati, ma solo immagini.

Il circolo vizioso dell’ignoranza è più minaccioso in Italia che altrove. I decisori pubblici e privati male addestrati non investono in ricerca e sviluppo, nè sponsorizzano scuole eccellenti. I contenuti dei mass media, volatili o vuoti, propagandano la tecnologia per scopi insulsi e sostengono che certi illusori progressi tecnologici sono soddisfacenti. Una rimonta culturale, tecnologica ed economica richiederebbe impegni eccezionali di investimenti, risorse umane, immaginazione e controlli rigorosi della qualità e del benchmarking (valutazione della posizione relativa dell’Italia rispetto agli altri Paesi. Non si vedono segni  di iniziative simili. È ora che questa esigenza sia riconosciuta e si smetta di dibattere su questioni formali o di interesse particolaristico.

Il degrado culturale si manifesta in tanti modi. Chi ha studiato lo riconosce nel suo settore di competenza. Le aree chiave sono ovviamente: scuola, mezzi di comunicazione dei massa e telematica. In ciascuna dovremmo trovare e redimere strumenti e concetti efficaci. Le carenze e i difetti sono così conclamati che sentiamo e leggiamo critiche e proposte frequenti, anche se sono troppo spesso timide e settoriali. È vitale rimontare posizioni. A questo scopo occorre definire traguardi intermedi:

  • definizione di settori, risorse, problemi, strumenti, conoscenze su cui basare imprese innovative
  • progetto di aziende virtuali, costituite da ricercatori, scienziati, industriali
    • specifiche di innovazioni o invenzioni concrete o creazione di settori di attività finora trascurati, ma perseguiti vivacemente all’estero
    • programmi miranti a reperire risorse finanziarie e umane
    • monitoraggio dell’attività e valutazione impatti conseguenti
    • creazione di studi avanzati e formazione avanzata entro le aziende.

 

Non sono solo economici gli interventi per rinnovare il Paese. L’economia non si rilancia solo lavorando di più. Vanno fatti lavori difficili e prodotto più valore aggiunto. In Italia c’è una università per ogni 600.000 abitanti. Negli Stati Uniti ce n’è una ogni 100.000 abitanti, in Inghilterra ogni 200.000, in Francia ogni 230.000. Negli USA ci sono oltre 50 università, college e politecnici con capitali superiori a un miliardo di dollari. Al primo posto Harvard con 25 miliardi, poi Yale con 16, Princeton, Stanford e l’Università del Texas con 12, Michigan, Cornell, Università della California  a Los Angeles con 5. In media  il capitale per studente è di circa un milione di dollari e ogni università spende ogni anno il 5% del patrimonio.

Le industrie italiane dovrebbero finanziare università, scuole superiori e istituti di ricerca anche consorziandosi per creare e finanziare politecnici. Paradossalmente finanziano talora prestigiosi istituti in altri Paesi. Intanto vengono ridotti i finanziamenti pubblici a università e ricerca. 

In Francia il 2% dei professori universitari sono stranieri, nel Regno Unito il 10,4 %, in USA il 19%, a Singapore il 47% – e, in questi paesi, è alta la percentuale di università eccellenti. Le università italiane, invece, non hanno professori stranieri: non cercano di ingaggiare i migliori ovunque si trovino. Per questo sono state criticate energicamente, anche se ancora non penalizzate, dalla Comunità Europea. È ben noto che università e ricercatori italiani eccellono in alcuni settori di punta. La media generale non raggiunge livelli di eccellenza e si notano aree nettamente arretrate e disattese.

Innalzare la cultura professionale e generale, creare scuole avanzate, investire in ricerca e sviluppo evita il declino, produce resilienza agli eventi avversi. Però le opinioni, le credenze, le ideologie, i memi condivisi dalla maggioranza della popolazione sono di bassa qualità, se il pubblico è facile preda di ingenui catastrofismi e della ripetizione di leggende metropolitane. A lungo termine occorre un’azione internazionale congiunta di aziende, soprattutto ad alta tecnologia, mirata a innalzare la cultura di intere popolazioni. Vanno utilizzati tutti i mezzi di comunicazione di massa, oltre alle scuole. Gli obiettivi sono: offrire occasioni di apprendimento, innescare mode edificanti. Bisogna far crescere la domanda di prodotti e servizi sofisticati che producano valore aggiunto e innalzino i rendimenti della società.

È vitale che si alleino cultura, accademia, parlamento, industria per influire su giornali, radio e televisione e fornire al pubblico strumenti di aggiornamento continuo, criteri di giudizio sulle informazioni dilaganti, modi di acquisire l’abilità di esprimersi efficacemente. 

Oggi oltre a scienza/tecnologia e umanistica sono vitali: informatica, logica, biochimica, energetica, socio-economia, previsione tecnologica. I numeri crescenti di esperti generano progressi continui. Questi sono disponibili in rete, ma il pubblico in genere ne è escluso perchè giornali, radio, TV, comunicazioni sociali interpersonali trattano solo di argomenti volatili. La gente – e i giovani – non sentono parlare di cose importanti e di analisi critica dei fatti. Quindi non vengono motivati a sapere, a capire, a partecipare.

Radio, televisione e giornali sono troppo usati in Italia per fini politici o per pubblicizzare interessi privati. Molte testate ed emittenti minimizzano notizie e problemi di cui la proprietà o i gruppi di riferimento non hanno piacere di parlare. Editoriali stampati e in video sono spesso di parte. Questa caratteristica negativa non si elimina con le esortazioni: ci vorrebbe una serie di conversioni a codici di equità, liberalismo, oggettività che per lunghi periodi della nostra storia  sono stati disattesi, ignorati, combattuti. Il nostro paese dovrebbe essere terra di missione, ma anche la “libera America” manda pochi missionari. Missione impossibile? Lo fa temere lo scarso rigore che conduce all’abbandono della ragione. In conseguenza si parla di esoterismo, astrologia, magia, parapsicologia, miracoli, etc., come se fossero innocenti e spiritosi atteggiamenti consentiti giocosamente a certi intellettuali – sia di destra, sia di sinistra. L’effetto sul pubblico ingenuo, invece, è disastroso: la disinformazione acritica porta alla rovina.

Le notizie vengono date come se fossero descrizioni oggettive di fatti osservati. Invece quando si tratta di processi multiformi (naturali, economici, scientifici, tecnologici) è più sensato e utile discutere i meccanismi che li governano e discutere su come vadano analizzati, ricostruiti, revisionati. Occorre ragionare su come si faccia a capire chi ha ragione nei dibattiti fra esperti (spesso improvvisati).

Il mondo è fatto anche di meccanismi della natura, struttura della materia e degli artifatti umani, processi sociali, politici ed economici. Questi sono influenzati, gestiti, subìti da milioni di persone in modi razionali, irrazionali, passionali, casuali. Per capirlo non basta più la conoscenza dei caratteri in cui il mondo è scritto: rette, cerchi, parabole (Galileo). Bisogna padroneggiare strumenti moderni e non guardarci attorno attoniti come passeggeri su veicoli che marciano a caso. Imparare a usare questi strumenti è un’attività piacevole e può appassionare più dei giochi di carte o dei quiz. Serve anche a capire i problemi, a formarsi opinioni su cose vitali per noi che altrimenti ci accadono ed evocano nostre reazioni inadeguate come quelle di selvaggi analfabeti

Per ridurre le emissioni prodotte dall’uso di combustibili fossili e la dipendenza da fonti energetiche importate, conviene ricorrere di nuovo all’energia nucleare. I dibattiti in merito, però, sono pervasi da considerazioni passionali e da disinformazione. In Italia le centrali esistenti sono state fermate. Quella di Montalto è stata convertita in termoelettrica dopo il referendum del 1987, i cui quesiti erano e sono largamente ignorati dall’opinione pubblica, dai media, da pubblicisti e sociologi.

Le tecnologie a cui ricorrere per creare di nuovo una industria e una produzione elettronucleare in Italia sono note. Le prospettive del nucleare in Italia sono incerte non per ragioni tecniche, ma per motivi di inadeguatezza culturale.

Per consentire ai decisori pubblici e privati di formulare piani di sviluppo razionali e realistici, occorre intraprendere una vasta operazione culturale che fornisca informazione corretta in termini semplici atti a raggiungere un pubblico vasto. Va ricordato che il disastro di Chernobyl ha provato che l’addestramento degli operatori è fattore vitale:. con leggerezza inaudita (in assenza di esperti nucleari) ingegneri elettrotecnici tolsero le sicurezze dall’impianto e provarono se in caso di distacco dalla rete l’energia immagazzinata nei rotori dei turboalternatori fosse adeguata ad abbassare le sbarre di carburo di boro. Non lo era: l’impianto esplose. La catastrofe sarebbe stata meno grave, se il reattore fosse stato contenuto in guscio di acciaio. Gli effetti dell’incidente alla centrale di Three Mile Island (USA) furono contenuti da uno scudo corazzato e non causarono vittime.

I timori dei rischi dovuti a centrali nucleari si discutono riferendosi a tecniche di vari decenni or sono. Quelle realizzate in Occidente erano già più sicure di quelle russe, oggi si mira a progetti intrinsecamente sicuri in cui gli interventi di sicurezza non sono prodotti da sistemi attivi (sensori e motori elettrici), ma per azione di forze naturali (gravità, dilatazione di elementi in bimetalli). Le centrali giapponesi di Fukushima, in cui sono avvenuti sinistri in seguito al terremoto del Marzo 2011, non erano a sicurezza intrinseca e risalivano a 40 anni fa.

Alternativa interessante è quella di passare a reattori di IV generazione ad alta temperatura raffreddati a gas. Questi possono essere più sicuri dei reattori raffreddati ad acqua, possono raggiungere temperature di 1000°C cui conseguono alti rendimenti termodinamici e possibilità di produrre economicamente idrogeno per via termochimica. Ne furono realizzati prototipi in USA e in Germania, ma si affermò la preferenza per i reattori ad acqua, più compatti e adatti a essere installati in sottomarini.

La capacità di concatenare fra loro problemi e soluzioni apparentemente difformi dovrebbe essere acquisita da tutti. Ha valore intellettuale e morale, oltre che pragmatico. La gestione di grandi problemi sociali e politici non è una scienza esatta. Si giova anche di principi semplici che chiunque può comprendere e fare propri. Fra questi c’è il principio giapponese del kaizen – tendenza al miglioramento continuo: operare ogni giorno più efficacemente del giorno prima. Ai lavoratori giapponesi si insegna a tenere note delle proprie esperienze e a comportarsi come piccoli scienziati. Spesso l’impegno personale non è sufficiente: lavoratori e operai si organizzano, allora, in “circoli di qualità” per discutere i problemi e cercare insieme soluzioni nuove. Teoria e pratica della gestione totale di qualità devono continuare a diffondersi nell’industria, ma è bene che pervadano società, scuole, accademia, processi decisionali, mass media.

Solo i paesi che investono robustamente in ricerca e sviluppo conseguono incrementi notevoli del prodotto interno lordo o non lo vedono diminuire in tempo di crisi economica – gli altri no.

Fonte: Innovation Union Scoreboard 2010, www.proinno-europe.eu/metrics

 

 

 

 

Fonte: Innovation Union Scoreboard 2010, www.proinno-europe.eu/metrics